Pensa con i sensi – Senti con la mente. L’arte al presente???

Si è conclusa il 21 novembre la 52° Biennale di Venezia, mostra che espone da oltre 110 anni le ultime tendenze delle avanguardie artistiche. All’entrata il chiasmo “Pensa con i sensi - Senti con la mente” invita il visitatore ad un rovesciamento intellettivo nell’approccio al mondo e all’arte. Un richiamo al risveglio del sensorio, un appello allo spettatore perchè invece di contemplare le opere con sguardo inebetito, le partecipi reagendo. Insomma, lo stesso cavallo di battaglia dell’arte non figurativa di fine anni ’60 che portava ad estrema maturazione ed “estremizzazione” le ricerche dei padri Duchamp e Tzara. Nel padiglione dei paesi nordici una parete interamente coperta di bersagli forniti di freccette per i visitatori ricordano gli oggetti di Fluxus, l’arte-divertimento, nel padiglione della Gran Bretagna l’opera-tappeto di caramelle di liquirizia destinata ad essere progressivamente mangiata cita gli eventi di Beuys e allievi all’Accademia di Düsseldorf o le azioni degli studenti della St. Martin’s School di Londra, come la scultura di arance di Louw del ’67. Niente performance da body art, invece, se non attraverso schermi televisivi più consoni ai nostri tempi, ma già scaduti come supporti poichè intuiti ed utilizzati nell’arte già a partire degli anni ’70.
Ci siamo divertiti a tirare freccette facilitati dalla quasi impossibilità di mancare la moltitudine di bersagli, ma davvero si può ancora parlare di ultime tendenze artistiche? Nell’era globale della supervelocità l’arte non riesce a stare al passo del cambiamento e ripropone le novità di quarant’anni fa. Aggirandoci tra le sale troviamo repliche concettuali, new dada e connessioni elettriche alla Mario Merz ormai incanutite nello spasmodico tentativo di far scoccare la scintilla della pulsione sessuale dal contatto tra linfa elettrica e madre terra. Dispiace constatare che ormai le lampadine o hanno fallito mancando l’obiettivo oppure non si sono accorte di aver preso fuoco già da un pezzo.
Molti artisti hanno continuato sulla propria strada intrapresa da tempo tra i quali un Giuseppe Penone fedele a se stesso nel riproporre la fusione dell’uomo con l’elemento naturale che gli dà ossigeno, l’albero, la cui corteccia grida inchiodata e scartata sulle pareti. Forse è proprio questa continuità nella ricerca dei singoli artisti che, mantenendo uno stile riconoscibile e coerente, li sostanzia della personalità necessaria per quel titolo.
Ma inevitabilmente nell’elemento ricorrente, di rigore in un’ arte, quella contemporanea, dove l’abilità tecnica sembra relegata in quarto piano, si riscontra una mancanza, una specie di buco del quale non è possibile colmare la distanza. Azioni, oggetti, performance digitali, foto di denuncia, installazioni hanno spesso senso in ragione del loro carattere effimero, della loro unicità. E in questo avevano visto giusto gli autori degli eventi della Land Art cancellati dagli agenti atmosferici, la cui ineluttabile scomparsa aggiungeva significanza agli interventi. La ripetizione oggi, invece, finisce per vanificare il fascino delle opere e ridurre l’arte ad una ricerca esasperata dell’eccentrico che non esprime nulla.
Non può essere un’ancora di salvezza ribattere che non necessariamente l’opera deve esprimere altro oltre a se stessa, perchè le ricerche in questa direzione sono già state assolte più di trent’anni fa con gli studi minimalisti.
Dunque dove andare? La pluridimensionalità caratterizzante della Biennale, il suo proporre singoli momenti del percorso dei tantissimi espositori non rischia di disperdere completamente quello strascico di coerenza che ogni artista, a quel livello, dovrebbe aver raggiunto? Il visitatore profano seguendo il percorso tracciato dalle opere senza conoscere la storia dell’autore rischia di sforzare la mente a sentire messaggi mal recepiti, distorti o non presenti. Non male invece la simultaneità espressa da alcune opere dove l’azione intrapresa su video ha effetto immediato sulla realtà, come un bicchiere d’acqua vero, palpabile, prosciugato in tempo “reale” da un bambino videoregistrato. La finzione è smascherata ma ciò non ha importanza in un’epoca, la nostra, dove virtuale e fenomenico si mescolano senza che una dimensione abbia maggiore peso e importanza dell’altra.

Arte del presente? Sopraffatto dall’iperrapidità contemporanea che polverizza le opere prima ancora che siano esposte, il dubbio permane irrisolto nel ritorno a singhiozzo del già visto.